venerdì 25 ottobre 2013

Il pregiudizio


Massimo Agostini

“Noi non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e l’idea degli usi e opinioni del nostro paese. […]
Perciò gli altri diversi da noi sembrano selvaggi, allo stesso modo in cui chiamiamo selvatici i frutti che la natura ha prodotto nel suo naturale sviluppo”

Montaigne: (“Essais”, libro I, cap. XXXI).»


La riflessione su pregiudizi ed egoismi comuni potrebbe tranquillamente chiudersi con questa affermazione di Montaigne per lasciare ad ognuno, dotato di volontà, bellezza e sapienza, il compito di procedere con la propria intima riflessione. Ritengo infatti che ogni insegnamento dovrebbe limitarsi a fornire, agli altri, spunti di analisi, ovvero di autoanalisi.

Essendo naturale la tendenza di ogni gruppo sociale al pregiudizio e all’autoreferenzialità, appare logico il rischio che anche ogni associazione, per quanto elevata culturalmente, possa essere assoggettata allo stereotipo e quindi al preconcetto, soprattutto rispetto ad altre similari organizzazioni.
Sembrerebbe infatti scientificamente dimostrato la naturale tendenza dei gruppi: nazioni, stati, etnie o semplici gruppi sociali, allo stereotipo e al conseguente pregiudizio dovuto al tipo di informazioni in esso trasmesse e assimilate.
Ed è per questo che il nostro operare nella vita dovrebbe essere scevro da verità rivelate, presupposto di ogni possibile pregiudizio, ma bensì essere caratterizzato da percorsi, intimi, personali, esclusivi, di consapevolezza; una consapevolezza che non può essere frutto di insegnamenti più o meno dotti, trovando più sicuro alimento proprio in quell’intima esperienza di analisi e nel personale confronto con la propria e altrui essenza.


Riflettere su se stessi, la pratica del silenzio, il simbolico abbandono di un materialismo consumistico, lo studio personale delle arti liberali; il monito sul potere fine a se stesso, sull’arroganza e su quanto la bramosia del denaro possa avere influenzato l’umanità; costituiscono infatti le fasi simboliche di un costante, duro, intimo lavoro personale, senza limiti e confini, guidato esclusivamente dal proprio solitario rapporto evocativo con gli antichi e misterici insegnamenti, con il simbolismo di un Tempio che deve essere dentro e fuori di noi, e se si è fortunati, con gli stimoli di pochi illuminanti maestri ...


Un cammino che per alcuni può proseguire verso più elevati livelli di giustizia ed equilibrio, attraverso un percorso lento di conoscenza e consapevolezza interiore che può condurre ad essere attento osservatore distaccato delle misere realtà umane.
il Segreto, la Fedeltà, l’Obbedienza, diventano quindi strumenti necessari al consolidamento della Libertà interiore. In questi passaggi è forte il messaggio che la rivelazione divina è in noi e non fuori di noi.
Il vivere dell’uomo in questa terra deve assumere l’essenza di un percorso iniziatico la cui impostazione ripudia il dogmatismo ed il fideismo!

Un'obbedienza quella dell’iniziato è infatti riferita esclusivamente a sé stesso, al saper perseverare nella ricerca e, se vogliamo, ad un dogmatico antidogmatismo!! Esatto, tutto ciò che ti hanno raccontato come vero, non lo è, verificalo di persona.
In questo lungo percorso iniziatico che è la vita, l’uomo è chiamato alla formazione della propria coscienza individuata e della propria personalità, scevra dai condizionamenti e da pregiudizi, al fine di sottrarre il proprio io dal grigiore del volgo pensante per interrompere circonvoluzioni mentali che nulla hanno a che vedere con lo scopo della nostra sacra vita.

Significativo è anche il perdono del saggio rispetto all’ingiustificato giustiziere, nel quale la passione purtroppo prende il sopravvento all’equilibrio e alla giustizia; oppure l’amore universale verso l’umanità sofferente, monito ad essere parte attiva con studi, lavori, ricerche, a beneficio della società, ma anche tolleranti verso gli errori e le colpe degli altri.
Chi ha superato poi le dure prove della vita non può che aver acquisito il ruolo richiesto nel combattere il dispotismo politico e religioso, assumendo le sembianze e la coscenza del cavaliere armato della spada di giustizia e dello scudo di virtù. Questi non può che essere il saggio Kadosh, il Santo che è al contempo Spirito e Cuore, Intelletto e Amore; egli sale attraverso le gerarchie delle scienze verso il Cielo per ridiscendere sulla terra attraverso le Virtù. Il Kadosh potendo agire sulla materia inferiore è chiamato a combattere ogni forma di assolutismo ed ogni forma di potere che conduca alla negazione dei valori umani o all’oppressione delle genti.

In fine, anche se forse è il caso di dire in principio, l’essere uomo consapevole della vita, vuol dire giungere alla trasformazione creativa del proprio essere interiore, l’equilibrio acquisito attraverso il percorso conoscenza, consente all’Uomo rigenerato di unire gli opposti e gli elementi discordanti.
Un percorso che, come abbiamo visto in tutti i suoi gradi di perfezionamento, ha i suoi fondamenti nella tolleranza e nella fratellanza, sicché gli altri diversi da noi non sembrano più selvaggi, come dice Montaigne, ma al contrario ricchezze inesauribili per la nostra conoscenza e realizzazione.
La forza propria di chi pratica con sincerità d’animo l’antica e nobile arte liberale non può quindi che rifuggire ogni forma di prevaricazione del pensiero per i bene ed il progresso dell’Umanità, affinché la voce di ogni Uomo posa volare libera fino al cielo.

Un’opera antica questa appartenente in passato solo a uomini di grande sapere, ma che nell’illuminismo ha trovato finalmente la sua esplosiva espressione, come eredità di una cultura divenuta palese; un’eredità millenaria, fondata su un umanesimo spirituale [1] di libera ricerca che ha dato l’opportunità di sciogliere i soffocanti nodi di un oscurantismo religioso, superstizioso e dogmatico, voluto da un potere opprimente, intollerante; cercando finalmente di liberare l’uomo dal giogo della propria ignoranza; ma l’opera del Demiurgo nella manifestazione non ha mai termine, tanto che quel piccolo sogno illuminista trova ancora faticosamente la strada per essere realtà.
I pochi illuminati conoscono bene il simbolo del dualismo; vivendo nel loro percorso il contrasto cromatico tra il bianco ed il nero del pavimento a scacchi, e praticando costantemente un proprio Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem, sotto la duale illuminazione del sole e della luna, posti ad oriente; il bene ed il male sono per questi le demiurgiche, inevitabili forze contrarie della manifestazione, è questa la prima consapevolezza che deriva all’iniziato ai più arcani misteri.

Non ci stupiamo quindi come certe forme di potere siano ancora presenti, e la liberalizzazione illuministica, per la quale i nostri antichi maestri hanno lottato, sia ancor oggi preda delle fauci del drago che, attraverso l’antico ed ancestrale meccanismo dello stereotipo, tenta di reprimere ogni forma di liberalismo intellettuale per garantire il proprio dominio sulle masse.
Un drago volto a sacrificare sull’altare del potere economico e dell’ideologia tecnicistica ed utilitaristica, ogni velleità di libertà.
Il potere economico, commerciale, politico, religioso, trova ancora nel pregiudizio la principale arma di azione, potenziata da sistemi di comunicazione globalizzata, in grado di far ripiombare nell’ignoranza interi popoli.

L’uomo contemporaneo si trova infatti a vivere in una realtà sociale molto complessa che ha come fondamento la velocità di trasmissione di una enorme quantità di informazioni, la cui assimilazione diviene requisito essenziale al mantenimento di un valido rapporto relazionare con gli altri, in tutti i settori della vita.
Se proviamo a guardarci intorno, ponendo attenzione alla dinamicità delle relazioni che quotidianamente la società pretende, da chi vuole essere in linea con il suo vorticoso divenire, inevitabilmente scopriamo di essere immersi in un mondo multiforme, ricchissimo di sfumature e differenze; un mondo iper-specialistico che trova nel sapere lo strumento per ogni realizzazione sociale e di dominio.
Per non trovarsi quindi quali: inadeguati, immobili, attoniti ed indifesi spettatori, rispetto al caos di questo vorticoso divenire, diventa inevitabile per l’uomo la ricerca di un veloce appiglio o approdo, quale fondamento per la necessaria sicurezza interiore ed in grado di lenire ogni forma di sofferenza esistenziale ed è proprio su queste paure che il demiurgo opera, alimentando lo stereotipo, il pregiudizio, quali roccaforti e rifugi per l’individuo inconsapevole.

La certezza ricercata in punti fermi di riferimento, immediati, logici e condivisi con il gruppo, comporta una indispensabile e veloce assimilazione e trasformazione delle informazioni che quotidianamente ci circondano, in qualcosa di facilmente fruibile e spendibile nel quotidiano; diventa quindi indispensabile per l’uomo procedere attraverso semplificazioni concettuali di ciò che è complesso, formulando strutture ideative immediatamente spendibili all’occorrenza, attraverso processi organizzativi fortemente schematizzanti.
Una sorta di semplificazione simbolica di concetti complessi, basata su modelli culturali riduttivi, semplicistici, materialistici, con finalità meramente utilitaristica alla quotidiana sopravvivenza individuale e di gruppo.
La ricerca del simile ovvero di chi condivide lo stesso pensiero, inoltre consente all’individuo di acquisire ancora sicurezza che si tramuta in una sorta di alleanza difensiva nei confronti del diverso, anche perché il diverso potrebbe mettere in gioco quell’equilibrio acquisito dal gruppo che trova alimento proprio nel pensiero comune stereotipato.

La velocità dell’individuo nel doversi equilibrare negli altri e nel mondo che lo circonda, può inoltre condizionare fortemente la libertà di giudizio e di pensiero.
Tale necessità di salvezza, trova per altro sulla sua strada una inadeguatezza nell’utilizzo dei sistemi di comprensione e, ancor peggio, una sofisticata manipolazione dell’informazione volta a condizionare lo stesso vivere sociale verso stereotipi conoscitivi che diventano il fondamento di ogni conseguente pregiudizio.
Ciò avviene attraverso il processo cognitivo della semplificazione per categorie ovvero la predisposizione a formulare classificazioni, che, con il minimo sforzo, permettono all’individuo di raggruppare degli oggetti o persone con caratteristiche comuni, in categorie.
Ed è proprio attraverso la comunicazione che il potere dominante agisce per alimentare lo stereotipo e il pregiudizio quale strumento di controllo, individuando spesso con un solo sostantivo un’intera categoria, attraverso un’azione esemplificativa e riduttiva che va ad accentuare solo una caratteristica dell’oggetto a cui si riferisce, oscurando tutte le altre.
Si dà luogo così ad una sorta di feticismo verbale costituito da etichettature, nomignoli e epiteti che riducono di molto l’angolo visuale dell’individuo sulla realtà sociale: colore della pelle, idioma, suoni, versi, rumori, alimentano meccanismi ideativi semplici di catalogazione che esulano da più elevati e complessi riferimenti logici, superiori per annidarsi nei meandri mentali immediati, automatici.
In questo modo la comunicazione agisce facendo leva sul contenuto ideativo (l’immagine) che si lega alle categorie ed è proprio quando la categoria si arricchisce di immagini e di credenze eccessive, che siamo in presenza di uno stereotipo creando quindi artatamente un’opinione esagerata in associazione ad una categoria [2].
Per una comunicazione efficace, lo stereotipo deve però contenere in se parziali verità condivise e se vogliamo storiche, sia in senso positivo che negativo, chiaramente elevate all’ennesima potenza. Queste parziali verità diventano il fondamento del preconcetto e della costruzione della stessa credibilità dello stereotipo

Essere cittadini del mondo sembra trovare la negazione proprio nelle barriere culturali imposte dalla propria “civiltà” che fa della propria tradizione e cultura l’elemento fondante di identità sociale, ancor più spinta quando la barriera è innalzata nella logica dei dogmatismi religiosi e non! Inevitabile quindi il condizionamento, risultando per il “normale” individuo insormontabile la barriera culturale entro la quale è nato e cresciuto e dall’interno della quale è chiamato a giudicare altri modi di essere, di sentire e di pensare, del tutto diversi dai suoi.
La maggior parte degli studiosi ritengono che vi sia una normale predisposizione umana al pregiudizio, personalmente ritengo che il meccanismo logico e semplicistico di categorizzazione costituisca di fatto un innato meccanismo di difesa individuale e sociale, presente fin dall’origine dell’umanità nel suo confronto con la natura.
Difendersi dall’ambiente naturale significa infatti riuscire ad attivare, in modo veloce, meccanismi logici ideativi, interpretativi che hanno nella semplificazione conoscitiva un naturale presupposto difensivo.
Il pregiudizio quindi come primordiale istinto di sopraffazione-difesa proprio della natura umana che trova nell’identità riconosciuta, attraverso giudizi a priori, abitudini di pensiero per discriminare l’indigeno dall’estraneo: una sorta di innato meccanismo immunitario individuale e ancor più sociale che consente di produrre anticorpi per riconoscere il proprio self sociale dal non self e conseguentemente attaccare tutto ciò che a priori viene riconosciuto come estraneo.

Esplicativa di questo meccanismo è la favola di Jonathan Swift, i Viaggi di Gulliver, una favola surreale, le cui invenzioni fantastiche non sono che delle metafore per evidenziare l’intolleranza innata nei confronti del diverso e la conseguente ingiustizia degli uomini.[3]
Va notato che la consistenza dei pregiudizi a priori si fonda soprattutto sull’arroganza dei sapienti, sui luoghi comuni della cultura, sulla disinformazione.
In questo senso, sembrerebbe inevitabile dichiarare il fallimento dell’idea illuministica del cosmopolitismo, dell’universalità dell’uomo nel suo diritto a coltivare la propria naturale diversità e ad essere riconosciuto per questa come elemento di ricchezza per l’umanità, piuttosto che un pericolo. Una umanità vittima quasi della sua stessa ragione critica e dalla scienza da essa prodotta.
Una sorta di eccesso di conoscenze che, procedono in una evoluzione veloce e caotica, ha determinato una progressiva deriva delle stesse per l’incapacità di assimilazione, comprensione e visione unitaria. Una conoscenza che sempre più assume le vesti di una specializzazione estremizzata, sicché il particolare prende il sopravvento sull’universale, creando di conseguenza logiche di contrapposizione e di potere al punto che per la “comune umanità” appare più semplice regredire nella negazione della ragione stessa, finanche rifugiarsi nella superstizione, piuttosto che comprendere la complessità del sistema.
Tale tecnicismo spinto associato ad una globalizzazione che sta rimescolando le diverse culture in tempi brevissimi, se non addirittura vorticosi, con l’unico fondamento del profitto economico di pochi, richiede da parte di degli Uomini una veloce e solida presa di coscienza, al fine di evitare: tensioni, incomprensioni, conflitti, ed ancor peggio la massificazione del genere umano verso disvalori ed impoverimenti culturali.
Il grande pericolo, perciò, non è tanto la diversità quanto invece la degradazione delle culture, in nome di un “progresso” incontrollabile e di un tecnicismo esasperato che conducono l’individuo nel ruolo di semplice accessorio di un sistema efficiente, ma impersonale, dominato dalla sola dimensione economica. In questo contesto di massificazione al ribasso, l’identità culturale diventa quindi un bene prezioso per l’Umanità.
In sostanza appare fondamentale riproporre condizioni di equità e giustizia anche attraverso la salvaguardia della stessa identità umana e sociale, garantendo la sopravvivenza delle diversità culturali, anche quando queste appaiono stereotipate e non conformi al comune pensare.
Un’umanità privata delle diversità e varietà di pensiero, dell’identità sociale, storico, culturale etc.. costituirebbe una realtà sicuramente contro natura e quindi non conforme agli stessi fondamenti della tradizione sacra che trova uno dei suoi principi importanti di ricerca proprio nell’equilibrio naturale.
L’identità di ogni gruppo, nazione, etnia, etc… nei valori della propria tradizione costituisce la vera ricchezza dell’Umanità, permettendo agli individui di interagire positivamente con l’ambiente, di comprendere gli altri ed esserne compreso, di condividere valori, strumenti di pensiero e sensibilità.
Spezzare le catene degli egoismi e spogliarsi dai panni logori dei luoghi comuni per agire con equità e giustizia, sembrerebbe quindi essere ancora un miraggio utopistico, forse anche esso stesso un luogo comune riferito ad una società ideale non consona a questa misera umanità, ancora facile preda dell'ignoranza e della superstizione.
L'autodefinirsi quale "centro d'unione" tra gli uomini, sulla sola base delle loro qualità morali e di una religiosità non precisamente qualificata, costituisce ancora oggi un salto in avanti, semi-utopistico e rivoluzionario.
Il sogno comune di ogni Uomo consapevole dovrebbe essere quello di costituire un’elite di Uomini, Liberi e di Buoni Costumi, in grado di essere i protagonisti di una “nuova cavalleria”, i paladini volti a diffondere un modo di pensare la diversità, vista, non come pericolo, ma come risorsa per il bene e il progresso dell’Umanità.
Una sorta di rete di “conoscenze illuminate” in grado di combattere pregiudizi, luoghi comuni ed egoismi, prodotti da un potere dogmatico, oggi rappresentato anche da un universalismo economico volto ad un profitto fine a stesso; da un tecnicismo e da una conoscenza specialistica arrogante ed emarginate; contrastando nel contempo la manipolazione delle coscienze prodotta da un sistema di comunicazione a servizio del potere dominante.

Un’azione sicuramente non facile, anche perché forte è la reazione di certi poteri che si avvalgono dello strumento più antico e connaturato alla specie umana: lo stereotipo e il conseguente pregiudizio volto ad annichilire ogni sorta di opposizione, facendo apparire chi è fuori dai limiti della cultura dominante, come alieno o bestia da domare.
Ordo ab Chao, “ordine dal caos”, recita un antico motto iniziatico che indica simbolicamente il percorso, il fine a cui tendere, ossia la ricerca della perfezione interiore, partendo dalla naturale confusione, fino a raggiungere, alla conclusione del cammino, uno stato di equilibrio e giustizia.
Quindi un motto che nulla a che vedere con l’arrogante luogo comune di una fantomatica ricerca di un potere politico ed economico fine a sé stesso, da porre alla base di un nuovo ordine Mondiale di governo: il percorso iniziatico non crea operai obbedienti e ciechi al servizio di burattinai dediti alla costruzione di una fantomatica società volta ad annientare ogni pensiero diverso.
Questa è appunto lo stereotipo con il quale devono fare i conti certe associazioni iniziatiche, creato proprio da chi vede in esse l’ostacolo alle proprie finalità di dominio, poiché gli uomini liberi e di buoni costumi, ovvero soggetti pensanti, dotati una propria indipendente consapevolezza e di equilibrio e giustizia, non sono sicuramente funzionali ad un dominio basato sull’ignoranza e la massificazione.

Giova ricordare a tale proposito il parere del massimo esoterista del secolo scorso, René Guénon, che avvertì nei suoi scritti della pericolosità delle organizzazioni contro – iniziatiche:

"… un potere occulto di ordine politico e finanziario non dovrà essere confuso con un potere occulto di ordine puramente iniziatico ed è facile comprendere che i capi di quest’ultimo non si interessino affatto alle questioni politiche sociali in quanto tali: essi potranno addirittura avere una assai mediocre considerazione di coloro che si consacrano a questo genere di attività".
Relativamente all’ordine sociale è bene però evidenziare che come dice Sant’Agostino nella “città di Dio” non c’è repubblica se non c’è giustizia” e lo stesso Platone afferma “il sommo dell’ingiustizia è sembrare giusto senza esserlo”.

Il nostro quindi deve essere un percorso interiore per la costruzione di un Uomo nuovo che ha nella conoscenza (Gnosi) il suo fulcro fondamentale; un Uomo che, proprio grazie al suo equilibrio interiore, rigenerato nei gradi Sublimi, è capace di muoversi tra equità e necessità, di unire gli opposti e gli elementi discordanti.
Un percorso iniziatico che necessita di essere vissuto con Emozione e Intelletto, ispirato da comprensione e saggezza, con la Forza Ardente del Guerriero Kadosh e l’Amore Benevolo del Giudice Filosofo, in una progressiva unione degli opposti per giungere, superando il velo dell’Abisso, alla consapevolezza (da’ath) di un’altra dimensione.
E’ questo il nostro antico segreto che porta all’unico vero potere occulto: ESSERE.


[1] «Ci penetri l'animo una per così dire santa ambizione, talché, non soddisfatti della mediocrità, cerchiamo alle altezze e quelle, dal momento che si può quando si vuole, ci sforziamo di raggiungere con tutte le nostre
forze. Sdegniamo le cose terrestri, trattiamo con indifferenza quelle del cielo, e volgendo infine le spalle a tutto ciò che appartiene al mondo, voliamo al consesso ultramondano che è il più prossimo alla più eccelsa divinità. Quivi, come insegnano i sacri misteri, Serafini, Cherubini e Troni occupano i primi posti… Non saremo loro, purché lo si sia voluto, per nulla inferiori». Pico della Mirandola
[2] Uno dei massimi studiosi per quanto riguarda le dinamiche psicologiche dello stereotipo e del preconcetto è stato sicuramente lo psicologo statunitense Gordon Willard Allport (Montezuma, 11 novembre 18979 ottobre 1967). nel 1954 pubblicò un importante volume, dal titolo “La Natura del pregiudizio” nel quale si descrivevano i processi mentali sui quali il pregiudizio si basa.
[3] Nella prima parte Gulliver si trova subito a essere classificato dai dotti lillipuziani come un uomo caduto dalla luna, in base a supposte “leggi di Natura”; e per gli stessi motivi i dotti di Brobdingnag lo classificano come un embrione abortivo, poi uno scherzo di natura; e i matematici lapuziani lo disprezzano perché non ha le loro stesse attitudini demenziali; infine i cavali lo espellono dalla Houyhnhnmland perché lo considerano una bestia irrazionale. Sempre le “leggi di natura” servono a definire la differenza tra l’indigeno e l’estraneo, e hanno il risultato di esporre Gulliver a sanzioni, a condanne al rischio della vita, all’espulsione. “Identità umana e pregiudizio etnico nei «I viaggi di Gulliver» di Jonathan Swift” di Francesco Lamendola: Arianna Editrice
massimoagostini.blogspot.it


Pubblicato da Catherine  

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